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di Atlante
La sentenza UE sull’etichettatura plant-based: un punto di svolta per l’industria delle alternative vegetali
14 Ottobre 2024
La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel caso C-438/23 | Protéines France e altri, ha segnato un momento cruciale per il futuro dei prodotti a base vegetale. La Corte ha stabilito che gli Stati membri non possono vietare l’uso di termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per descrivere quelli plant-based.
Questa decisione ha suscitato reazioni tra le aziende del settore, tra cui Atlante, leader nella commercializzazione di prodotti plant-based. Natasha Linhart, CEO di Atlante, ha commentato: “Non siamo sorpresi da questa decisione. Vietare l’uso di tali termini sarebbe stato un errore. I consumatori sanno perfettamente cosa stanno acquistando, soprattutto quando si tratta di prodotti che conoscono da anni.”
La sfida dell’etichettatura per i prodotti plant-based
Il dibattito sull’etichettatura dei prodotti vegetali è emerso negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda termini come “burger”, “salsiccia” o “spezzatino”, che secondo alcuni avrebbero potuto confondere i consumatori. Tuttavia, secondo Natasha Linhart, la vera sfida risiede nel mantenere una comunicazione chiara ed efficace. “Termini come ‘burger vegetale’ o ‘salsiccia vegana’ sono fondamentali per il dialogo con i consumatori. Se fossimo costretti a usare descrizioni come ‘dischi vegetali’ o ‘cilindri vegetali’, avremmo creato confusione e complicato inutilmente il messaggio,” ha spiegato Linhart.
Atlante ha iniziato a monitorare attentamente la situazione fin dall’estate del 2023, quando è stata presentata in Italia la proposta di legge sul meat-sounding. La preoccupazione era che la normativa avrebbe avuto un impatto significativo sull’intero settore plant-based, limitando la chiarezza dell’etichettatura.
La risposta di Atlante alla Legge 172/2023
Dopo l’approvazione definitiva della Legge 172/2023, Atlante si è immediatamente attivata. Stefano Gandini, Head of Legal Department di Atlante, ha raccontato: “Abbiamo creato una Task Force e contattato immediatamente altre imprese del nostro settore. Abbiamo organizzato incontri con numerosi competitor e professionisti italiani ed europei.”
La Task Force ha sviluppato un piano d’azione comune. Tra le prime mosse, c’è stata la pubblicazione di un comunicato stampa e l’invio di lettere congiunte al Ministero dell’Agricoltura (MASAF) e al Dipartimento della politica agricola comune e dello sviluppo rurale. Secondo Gandini: “Abbiamo richiesto un confronto con il governo su questioni cruciali: il grado di consapevolezza dei consumatori italiani, l’impatto economico della legge sulle imprese e, soprattutto, il tema della sostenibilità.”
Un dialogo costruttivo con le istituzioni
In seguito all’approvazione della Legge 172/2023, Atlante ha inviato ulteriori missive agli organi competenti per approfondire il dialogo. Gandini ha sottolineato l’importanza di discutere aspetti pratici come il packaging e le campagne di marketing, che sarebbero stati fortemente condizionati dall’articolo 3 della legge. “L’obiettivo era tutelare le aziende del settore plant-based e garantire che i consumatori ricevessero informazioni corrette e trasparenti.”
Alla fine, la temuta “black list” dei termini vietati non è mai stata pubblicata.
La sentenza della Corte di Giustizia UE: una vittoria per il plant-based e la sostenibilità
Atlante ha accolto con soddisfazione la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso C-438/23 | Protéines France e altri, che ha stabilito che, in assenza di una normativa specifica, gli Stati membri non possono vietare l’uso di termini tradizionali per descrivere prodotti a base vegetale. Stefano Gandini ha dichiarato: “Questa sentenza rappresenta un grande passo avanti, vietare l’uso di questi termini avrebbe creato confusione nei consumatori e limitato la libertà di scelta.”
Oltre alla questione dell’etichettatura, la decisione della Corte ha aperto il dibattito su temi più ampi, come l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi. Natasha Linhart ha commentato: “È vero che le persone sono libere di consumare carne animale, ma è evidente, e a mio parere doveroso, un cambio di direzione. Gli allevamenti di bovini contribuiscono a circa un terzo delle emissioni globali di anidride carbonica, un dato che non possiamo più ignorare.”
Promuovere le alternative vegetali per un futuro sostenibile
Natasha Linhart ha evidenziato lo sbilanciamento nel consumo di carne a livello globale: “Negli Stati Uniti si consumano 124 kg di carne pro capite, in Italia 90 kg, mentre in India solo 4 kg. Questo squilibrio è insostenibile. La promozione delle alternative plant-based non è solo una scelta di mercato, ma una necessità per garantire un futuro più sostenibile.”
Con la popolazione mondiale destinata a raggiungere i 9,7 miliardi nei prossimi vent’anni, la necessità di trovare soluzioni alimentari alternative diventa sempre più pressante. Linhart ha aggiunto: “Abbiamo la responsabilità di pensare a lungo termine e garantire risorse alimentari sufficienti alle generazioni future. Promuovere prodotti a base vegetale è un passo fondamentale verso un futuro sostenibile.”