Import-Export di cibo di qualità: così Atlante è diventato uno snodo nevralgico per i supermercati.

4 Luglio 2019

L’intervista di Natasha Linhart per la Repubblica, a cura di Patrizia Capua.

Atlante è un crocevia tra la passione salutistica e un lungo viaggio nella gastronomia e nell’industria del food, alla ricerca di specialità alimentari capaci di soddisfare le esigenze di qualità e prezzo del mercato italiano. Riporta tutto a una donna che nel 2002 ha fondato l’impresa. Accanto a Natasha Linhart, founder e ceo di Atlante, c’era il suo compagno di vita, Federico Nanni, nuotatore della nazionale italiana e industriale meccanico.
Prima di diventare imprenditrice, Natasha Linhart lavorava per una multinazionale olandese, Nutricia, specializzata in alimenti per bambini a marchio Milupa, che all’epoca si trovavano solo in farmacia, e in prodotti per persone con problemi di deglutizione. Lei si occupava di grande distribuzione. “È stata veramente la mia università, ho avuto un capo che mi ha insegnato molto, il mio mentore. Mi sentivo un imprenditore, volevo cominciare la mia storia e l’ho fatto. Con un po’ di fortuna, coraggio e faccia tosta”. Ha contattato aziende in Europa che producevano alimenti per intolleranze, suo figlio Nicolai era allergico al latte. “Dicevo: perché si deve spendere dieci volte di più per questi prodotti speciali? Riuscire a vendere latte di soia allo stesso prezzo del latte vaccino è stato il mio progetto, la mia missione”. Prodotti di soia e vegetariani in genere, costituiscono ancora adesso i punti di forza della sua azienda. “Erano anni in cui la grande distribuzione italiana aveva problemi a dialogare con i produttori esteri, ed è quello che abbiamo iniziato a fare noi”.
Atlante con 58 dipendenti, più della metà donne, oggi opera in Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, India e Giappone, effettua 45mila consegne l’anno e ha un fatturato di 150 milioni di euro. I suoi clienti in Italia sono Esselunga, Coop, Conad, Unes, Carrefour, Pam, Auchan, Aldi, MD, Eurospin, Iges.

Nata a Ginevra nel 1957, seconda di cinque figli, suo padre Jiri, cecoslovacco, nuotatore, per fuggire dal regime autoritario è uscito dal paese di origine come rifugiato politico nel 1948, con le Olimpiadi di Londra. “Erano andati 40 atleti, soltanto due tornarono a casa”. George, questo il suo nome europeo, naturalizzato inglese, di professione fisico nucleare, si è laureato in Inghilterra e ha avuto una borsa a Oxford. Conobbe Susanna Basia Terrel, un’artista, pittrice, quando lei andava ancora a scuola, aveva 18 anni. “Per guadagnarsi da vivere a Londra mio padre posava nudo come modello alla scuola d’arte, grazie al bel fisico. Tra loro è scoppiato l’amore, si sono sposati e dopo nove mesi è nata mia sorella Anna. Il primo lavoro serio che gli venne offerto fu per Euratom, al Cern di Ginevra. Poi sono arrivata io, altre due sorelle e un fratello, Ivan che ha dieci anni meno di me”.

Natasha Linhart cresce dai tre ai dieci anni a Frascati, dove suo padre si era trasferito per lavorare al Sincrotrone, alla guida di una ricerca di scienziati internazionali. “Poi siamo andati via, abbiamo vissuto in vari paesi, dalla Francia agli Stati Uniti. Io ho continuato il liceo in Inghilterra. Prima di terminare gli studi ho incontrato il padre dei miei due figli. La più grande è Susanna, nome in onore di mia madre, vive a Ginevra dove è editor per le Nazioni Unite, un anno dopo è nato Nicolai, oggi è ingegnere meccanico in Spagna. Ho quattro nipoti”.

Con il padre dei suoi figli, la storia è finita quasi subito. “Mio marito è diventato Federico Nanni, è lui l’uomo importante della mia vita con cui ho vissuto 30 anni, aveva un’azienda meccanica nel circondario di Bologna, a Pieve di Cento, che ha venduto”.

Il sodalizio affettivo e lavorativo porta i suoi frutti. Atlante, una srl, per il 55 per cento importa in Italia prodotti dall’Europa ma anche dal Sud Est asiatico, il resto, 45 per cento, sono specialità italiane che vanno all’estero, in tutta Europa e negli Stati Uniti. “E adesso sta cominciando la grande avventura di India e Giappone. Siamo partiti l’anno scorso dall’ortofrutta, con le mele del Trentino e del Piemonte, e in Giappone con pasta di legumi e Lambrusco. La parte estera sta crescendo, l’anno prossimo sarà più quello che vendiamo all’estero di ciò che importiamo in Italia. I prodotti italiani possono andare da un basico pomodoro per gli spaghetti, a specialità come oli d’oliva siciliani, pesti genovesi, aceti balsamici, olive taggiasche, vini, il tartufo d’Alba”.

L’head quarter di Atlante si trova nel piccolo distretto di Casalecchio di Reno, a nove chilometri da Bologna, sede anche di Coop Italia e Conad. “È stato bello negli anni che abbiamo lavorato insieme io e Federico. Lui aveva un approccio economico finanziario, io più creativo e artistico. Questo ha funzionato molto bene e sono sicura che avrebbe continuato. Quando lui è deceduto tre anni fa, l’azienda era un terzo di quello che è oggi. Questo secondo me è dovuto un po’ al fatto che io ho veramente dato sfogo alla creatività, ho messo in piedi delle piccole startup e ho offerto alle persone che lavorano con me la possibilità di sviluppare le loro idee. Mio marito era un po’ più conservatore. Forse, però, avremmo avuto una vita più tranquilla”.

Il vero salto per l’azienda avviene nel 2012, quando si manifesta l’interesse della svizzera Migros industry, una delle più importanti multinazionali del settore alimentare. “Una joint venture con degli shareholder, azionisti internazionali era un’occasione che poteva farci diventare più evoluti”. Migros rileva il 20 per cento e Atlante mantiene la sua anima bolognese. “È stato importante, ci ha dato grande prestigio, Migros è un’azienda fantastica e utile per poter allacciare dialoghi all’estero. Lavoriamo negli Stati Uniti per Kroger, catena di negozi al dettaglio e con Sainsbury’s, il secondo gruppo di supermercati del Regno Unito. Da tre anni e mezzo noi agiamo per loro come occhi e orecchi del mercato Italia e gestiamo l’acquisto di tutti i prodotti italiani. Con Brexit certo sarà un’altra cosa. Perché diventa tutto più burocratico, difficile e il prodotto italiano più costoso”.

Viaggia di continuo. “Sono sempre in giro per il mondo a stringere rapporti con partner, che siano fornitori o clienti. Semino delle idee mie o quelle che vengono dai miei collaboratori, tutti bravi; in azienda incontro ogni giorno il mio team e discutiamo delle novità. Sono rientrata da poco dalla Tailandia dove abbiamo quattro riferimenti. Con una nostra addetta che gestisce le importazioni dal Sud Est Asiatico ho visitato il Thaifex, una vetrina enorme sul food di ultima generazione, le proteine vegetali, gli insetti, gli allevamenti di pesce a mille metri di profondità, l’agricoltura sostenibile urbana. Dobbiamo poter percorrere altre strade nella rivoluzione alternativa alle proteine”.

Per creare startup, Natasha Linhart utilizza l’infrastruttura globale della sua azienda realizzando ogni volta un progetto specifico su un prodotto che esula dai consueti standard. “Adesso, per esempio, vogliamo valutare la filiera del riso e abbiamo capito che c’è una specie di cartello del riso. Se vogliamo sapere dove è il valore, scopriamo che esso non rimane ai contadini e al rappresentante. Sta nei dazi, nella logistica e nella gestione della coltivazione. Proviamo ad uscirne con un progetto vincente. Questo implicherà l’uso di un’azienda italiana minore, fuori dal cartello, magari un’impresa piccola del Po o del Ferrarese. Li aiutiamo a mettere in piedi un sistema di lavorazione del riso e di confezionamento efficiente. Facciamo noi gli acquisti dei grandi risi, come quello del Pakistan, lo portiamo in Italia grezzo, e il produttore nostrano lo lavora con la sua esperienza e professionalità. L’abbiamo già fatto tempo fa con le patate, lo facciamo con le mele, ci abbiamo messo un anno di studio per individuare dove il processo impatta in costi inutili e esagerati. Un altro progetto, ‘Little Italy’, l’abbiamo elaborato per Migros: abbiamo preso cinquanta piccole aziende italiane che producono olio, aceto, biscotti, tarallucci e vino, che hanno risorse incredibili ma non sanno andare oltre perché non parlano l’inglese e non conoscono le procedure per mettersi in relazione con l’estero. Offriamo al cliente la possibilità di creare nel suo punto vendita, in un’area di quattro metri quadrati, uno spazio che riproduce la drogheria degli anni Cinquanta, con brand che non sono nomi altisonanti come Barilla, Ferrero, ma più piccoli e di qualità, in cui trovi la caponata siciliana che pochi o nessuno conosce ma fa parte dell’universo delle prelibatezze made in Italy”.

Quasi non lo chiama lavoro, tanto le piace quello che fa. “Il mondo del cibo è fantastico, in piena evoluzione. Sicuramente mi piace sapere che do un contributo etico al mondo, fare cose che danno una sorta di aiuto, supportare le persone a realizzare quello che amano. Ho conosciuto una piccola azienda siciliana che vendeva i propri prodotti solo localmente. Da quando sa di essere sugli scaffali della Svizzera e di avere una maggiore visibilità, ha migliorato l’azienda al mille per mille, ha investito, ha assunto, ha fatto entrare il figlio. Il profitto ancora no, ma l’entusiasmo del lavoro, sì, tanto. Le occasioni un po’ mi arrivano e un po’ le cerco. Lui mi ha presentato un suo amico che fa una salsiccia superlativa”.

Da molti anni Linhart è vegetariana. “La carne non mi è mai piaciuta. Ci sono alternative, dalle proteine vegetali alla soia ristrutturata. Se pensiamo che la società di Bill Gates, la startup vegana ‘Beyond meat’ adesso vale miliardi. Il mondo si sta muovendo nella direzione delle alternative alla carne, e voglio cavalcare l’onda perché è il futuro”.

Lo sport è sempre stato di famiglia, lo è anche per lei, soprattutto il nuoto. “Vado tutti i giorni alle sette del mattino, per 45 minuti, ci credo e mi fa star bene, anche quando sono all’estero, frequento piscine pubbliche nel mondo. Cerco anche di camminare perché è salutare, sono dipendente da questo stupido contapassi, tengo una media decente, quando torno a casa evito di sedermi subito sul divano. La cucina mi piace, gli amici amano i miei piatti sperimentali, o almeno dicono che è cosi, scopro i nuovi chef, vado sempre a vedere i nuovi posti del cibo che possono essere interessanti”.

Viaggiare fa parte della sua vita. In vacanza come prima scelta punta sulla Sicilia che adora, a Palermo, ad Agrigento per i templi. L’Italia le piace tutta, Roma in particolare. La famiglia, i suoi quattro nipoti quando può li riunisce, “i miei figli fortunatamente hanno cavalcato le loro passioni, ho voluto dargli la libertà di scegliere”, e annuncia trionfante “questa estate andremo insieme in Grecia”.

L’ultimo libro che ha letto è Shantaram, un romanzo autobiografico. “Dell’India mi interessano le persone, mi interessa come questa nazione con centinaia di milioni di abitanti che avevano fame e ora in situazioni di povertà molto forte ma senza più la fame, abbia fatto dei passi avanti enormi mostrandosi un modello di resilienza. E la guardo anche con gli occhi del business. Nella scorsa stagione abbiamo mandato trenta container di mele del Trentino e quest’anno con la primissima raccolta ne spediremo 300”.

Il segreto della riuscita aziendale è coinvolgere le persone nei progetti. “Sono tutti grandi lavoratori, mi circondo di persone brave, è un buon trucco. I concorrenti? Ne ho mille e in realtà neanche uno perché nessuno fa esattamente tutto quello che faccio io, con il mio portafoglio di opportunità. Il tempo stringe, questo è il problema. Se potessi tornare indietro avrei fatto i figli non così giovane, sarei potuta essere più matura per loro, avrei potuto dare di più”.

Vive da sola, preferisce lo stile minimal, non si trucca, trova vestiti in Amazon e porta camicie e scarpe sempre dello stesso modello. “Il mio pallino adesso è veramente provare una strada per dare un senso a tutto quello che stiamo facendo, banalmente siamo un’entità che compra e vende, ma io vorrei coltivare sempre più una ragione profonda, mettere sulle tavole ingredienti che non fanno male alla gente, perfezionare un ambiente di lavoro in cui le mie 58 persone amino essere. I miei dipendenti hanno uno stipendio più alto, il salario minimo d’entrata supera del 30 per cento la media, hanno benefit particolari, la tessera della palestra, organizzo un week end collettivo all’anno, facciamo attività insieme come quella di correre una staffetta a cui partecipano tutti. Riuscire a unificare questi concetti è una mission, avere questi valori è già positivo, ma voglio ancora molto, non uso scorciatoie per vendere di più. Credo di essere una persona perbene”.