L’incertezza si affronta con l’agilità – Il punto di vista di Natasha Linhart su Mark Up

5 Febbraio 2021

Natasha Linhart, CEO di Atlante, intervistata da Barbara Trigari per Mark Up di febbraio spiega il suo pensiero sul modo in cui dovrà cambiare il modo di fare impresa per il mondo della distribuizione e del retail dopo la pandemia. Agilità, ascolto, onestà, tecnologia ed eticità sono le parole chiave per affrontare il 2021.

E sul lavoro solitario spiega “Adesso fa un po’ paura tornare a lavorare da casa, mi sembra un passo indietro che frena sulla socializzazione. Forse saremo più produttivi, ma scambiare quattro chiacchere alla macchinetta del caffè ha un senso non solo di relax”

L’incertezzasi affronta con l’agilità

Il pensiero di Natasha Linhart sulle imprese italiane chiamate a dotarsi degli strumenti per essere flessibili e rispondere alle esigenze dei consumatori
Barbara Trigari su Mark Up

Si occupa di distribuzione italiana e internazionale in tutto il mondo e di sviluppo prodotto nel settore enogastronomico e tessile: Natasha Linhart, ceo di Atlante, dà il suo punto di vista sul futuro, di come cambierà il modo di fare impresa, per distribuzione e retail, all’indomani della pandemia che ha cambiato le carte in tavola, costringendo a ripensare le proprie strategie.

Quali sono le parole chiave per affrontare il 2021?

Al primo posto l’agilità. Poi l’ascolto del consumatore, per capire veramente quali saranno le sue esigenze: avrà meno denaro, sarà più attento alla salute. Ascoltiamolo e diamogli ciò che vuole, altrimenti rischiamo di irritarlo. Poi onestà: lavorare insieme con l’industria, non fare i furbi, essere chiari e trasparenti con il consumatore che ha bisogno di proposte coerenti. Disponibilità a ridurre i margini e i costi: tutti dovremo farlo, non possiamo aspettarci che a pagare il prezzo della pandemia sia solo l’ultimo anello della catena. Tecnologia, perché dobbiamo dotarci di una tecnologia che funziona in previsione di un online che avrà uno sviluppo massiccio. Quindi dovrà anche essere socialmente sostenibile, soprattutto l’eCommerce alimentare, che non può basarsi sullo sfruttamento delle persone per ottenere un profitto. Eticità, dal campo alla distribuzione finale.

Il 2020 ha portato cambiamenti epocali, cosa resterà?

Il messaggio globale è che per tutti, distribuzione o produzione, questo è un anno sospeso per il quale nessuno ha piena coscienza di cosa sia successo e come sia volato il tempo, e soprattutto di come impatterà sul mondo futuro. La conseguenza è una forte tensione per le imprese, che da una parte stringono i denti in attesa degli sviluppi, dall’altra sono attente a non perdere le opportunità.

Come si affronta l’incertezza?

L’elemento tecnologico è sicuramente fondamentale, sia nella comunicazione che per l’agilità e velocità che conferisce ai cambi di strategia, i veloci cambi di rotta per rispondere alle esigenze mutevoli dei consumatori. Per le imprese è un vantaggio competitivo: non basta cambiare il planogramma una volta l’anno, bisogna essere pronti a farlo anche domani, se serve. Se, come è successo durante i periodi di lockdown, la richiesta di pasta cresce di 30 volte più del normale, bisogna cambiare lo scaffale e sostituire le referenze che ruotano meno, con le 10 che vendono di più (top seller), e chiedere alla produzione di allinearsi alla richiesta. Agilità significa anche rendere il proprio staff efficiente dal punto di vista tecnologico, affinare le dotazioni tecnologiche per le comunicazioni interne, tra cliente e fornitore ma anche con il cliente finale, visto che tende a fermarsi sempre meno all’interno del punti di vendita.

La flessibilità presuppone un grande dialogo tra produzione e retail?
Sì, e possiamo dire che questo dialogo sta migliorando: in tempi di difficoltà, per affrontare un male comune occorre unirsi. Industria e distribuzione non possono esistere autonomamente.

Però molti retailer producono e molti produttori vendono …

È vero, nel fashion, nel food spesso il distributore è anche produttore. Il nostro socio Migros in Svizzera ha 1.000 punti di vendita, 700 discount e anche 12 siti produttivi di proprietà. In tempi di crisi come questo è un grande vantaggio perché la produzione che occorre è sicura, senza dipendere da altri, ma in tempi normali non sarebbe possibile fare un benchmark e mancherebbe la competizione che contiene i prezzi sul mercato. Non si tratta solo di spuntare un prezzo migliore, è anche una questione di tecnologie di produzione, necessarie per essere competitivi. L’industria deve investire. Non a caso Nike ha dismesso completamente il patrimonio produttivo per concentrarsi solo su marketing e sviluppo prodotto: stava fallendo e ha capito che il valore di Nike era tutto nel brand.

Le normative europee spesso non valorizzano i prodotti italiani e manca la capacità delle aziende di fare fronte comune.

Sì, le aziende italiane dovrebbero unirsi e presentarsi come un gioiello e ottimizzare anche la presentazione dell’Italian Food nella ristorazione. Occorre investire nella formazione dei giovani, per presentare meglio l’Italia all’estero domani.

 

LAVORO SOLITARIO

“Se ripensiamo alla storia umana, nel Medioevo chi lavorava lo faceva da solo, nella propria bottega. Poi con la Rivoluzione industriale chi lavora ha cominciato ad avere un contatto sociale, le persone si vedevano fuori dalla fabbrica, i primi sindacati, le donne hanno cominciato a uscire dal regime casa-bambini. Adesso fa un po’ paura tornare a lavorare a casa, mi sembra un passo indietro che frena sulla socializzazione. Forse saremo più produttivi, ma scambiare quattro chiacchiere alla macchinetta del caffè ha un senso non solo di relax.
Vale soprattutto per le donne, far parte di una società va ben oltre le mura di casa, mi auguro che si possa tornare a socializzare anche nel mondo del lavoro”.

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