Il valore di una supply chain sostenibile

29 Ottobre 2021

Sviluppo sostenibile e ruolo dell’industria alimentare: questi i temi affrontati dal Chief Supply Chain, Logistics & IT di Atlante – all’interno dell’intervista sulla svolta green richiesta alla supply chain.

Cosa si intende per sviluppo sostenibile e quali sono le sue implicazioni per le imprese?

“Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. In questo modo, il Rapporto Brundtland nel 1987 delineava una prima, seppur attualissima, definizione del concetto di sostenibilità.

Questa breve descrizione è sufficiente per comprendere che quando ci si riferisce all’impegno che le organizzazioni dedicano o dovrebbero dedicare alla sostenibilità nelle sue molteplici declinazioni (ambientale, sociale ed economica), non ci si deve limitare ad intendere un generico riguardo a tali temi o un approccio filantropico a questioni di carattere sociale. Infatti, l’attenzione per lo sviluppo sostenibile implica un’assunzione di responsabilità fondamentale e ben precisa. Assume rilievo, dunque, un concetto di “creazione di valore” più ampio di quello tradizionale, che ha come obiettivo di medio-lungo termine non soltanto la soddisfazione degli stakeholder più “prossimi” a livello economico-finanziario, come gli investitori e gli azionisti, ma anche di tutti coloro su cui, direttamente o indirettamente, l’attività di impresa ha un impatto come i clienti, i consumatori, i fornitori, i dipendenti e i collaboratori. Alcune correnti di pensiero includono tra questi, oltre alla comunità e ai diversi gruppi sociali, anche l’ambiente.

Quali sono le linee guida sulla sostenibilità a cui fare riferimento?

 Le linee guida più conosciute che definiscono obiettivi comuni e condivisi sono rappresentate dall’Accordo di Parigi, che stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile quale programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU. Quest’ultima pone il focus su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), che rappresentano un appello urgente all’azione di tutti i paesi in una partnership globale. Questo documento formalizza una presa di coscienza fondamentale per il mondo contemporaneo: la necessità di porre fine alla povertà e ad altre privazioni deve andare di pari passo con strategie per ridurre le disuguaglianze e stimolare la crescita economica, il tutto affrontando il cambiamento climatico e lavorando per preservare oceani e foreste. Una vera e propria interconnessione di temi sociali, economici ed ambientali, tutti ugualmente prioritari ed urgenti.

Le normative europee più recenti in materia riguardano la Strategia UE Farm to Fork, il Piano Economia Circolare (Corporate Sustainability Reporting Directive), il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il Recovery and Resilience Facility (RRF) e la Direttiva 92/106/CEE DEL CONSIGLIO del 7 dicembre 1992 (fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri).

Vi sono poi le proposte e le indicazioni dei gruppi industriali che, nei casi di loro leadership, finiscono per diventare degli standard per le filiere di riferimento.

A livello di sistemi di calcolo per la verifica e il monitoraggio del livello di raggiungimento degli obiettivi sono invece ancora molteplici e non sempre comparabili gli strumenti e gli indicatori.

Quale può essere il ruolo dell’industria alimentare nella “costruzione” di uno sviluppo sostenibile?

Secondo l’ONU e il WWF, l’industria alimentare è responsabile del 70% del consumo di acqua, del 40% del consumo di suolo, di un terzo delle emissioni di gas serra a livello globale, di cui il 71% imputabile all’agricoltura. Inoltre, anche se la maggior parte delle emissioni avviene durante i processi di produzione e trasformazione, non meno importante resta l’impatto dei relativi trasporti a livello mondiale via terra, mare, aerea.

Non bisogna poi trascurare il fatto che nel settore alimentare le tematiche ambientali sono da considerarsi strettamente connesse a quelle sociali: ancora oggi 3 miliardi di persone soffrono di malnutrizione e oltre 800 milioni versano in stato di grave insicurezza.

In questo settore ancor più che in altri, dunque, la sostenibilità apre alle aziende una nuova prospettiva strategico-competitiva in cui l’innovazione rappresenta una leva determinante. Tutte le tendenze del Food and Beverage sostenibile del 2021 pongono al centro un consumatore sempre più informato, consapevole e partecipe. Questo trend è supportato dai risultati dell’indagine di Altroconsumo da cui emerge che gli italiani sono fortemente propensi ad adottare comportamenti che contribuiscano alla salvaguardia del pianeta. Il 76% dichiara di fare attenzione all’impatto ambientale delle proprie scelte alimentari e il 68% sostiene di essere disposto a cambiare le proprie abitudini favorendo comportamenti più green.

 

Come viene declinata la sostenibilità in ambito Supply Chain Management?

Se è vero che la sostenibilità di un prodotto non può prescindere da quella dell’azienda che lo produce, allora un’impresa responsabile deve monitorare tutti i suoi propri processi e attività, garantendo per prima cosa il rispetto di standard etici e di sicurezza, trasparenza, qualità, generando valore per tutti gli attori coinvolti, lungo l’intera catena di fornitura.

Con particolare riferimento al Supply Chain Management, i principali trend in corso riguardano: lo sviluppo di una filiera responsabile e sostenibile, piattaforme e mezzi di ultima generazione (impianti fotovoltaici, risparmio energetico, carburanti alternativi come l’elettrico, il gas naturale liquefatto (LNG o GNL), l’idrogeno, l’olio vegetale idrotrattato (HVO), l’ottimizzazione dei carichi e dei percorsi, e il trasferimento delle merci dalla strada alla intermodalità mare – ferrovia, l’economia circolare, il packaging e gli imballaggi eco-sostenibili e riutilizzabili, la riduzione dello spreco alimentare (secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite circa un terzo del cibo prodotto nel mondo va perso o sprecato).

Le organizzazioni più innovative e sostenibili crescono di più e più rapidamente anche perché questo tema è sempre più presente nell’agenda di investitori e policy maker. La transizione verde necessita di ingenti finanziamenti con fondi pubblici ma anche con capitali privati che, secondo la Commissione Europea, devono essere orientati verso progetti che favoriscano una «crescita economica sostenibile». Gli investimenti sostenibili stanno avendo una impennata esplosiva e in dieci anni il valore delle azioni delle società impegnate nella sostenibilità è triplicato.

Quali progetti sta sviluppando Atlante al fine di supportare e favorire uno sviluppo sostenibile?

Atlante svolge la propria attività di business in un’ottica di continuo miglioramento delle performance, non solo in ambito economico ma anche di impatto ambientale e sociale. Infatti, in stretta collaborazione con primarie associazioni e organizzazioni e con il prezioso contributo dei suoi prestigiosi partner e clienti, nel suo ruolo di 5PL e di amplificatore delle azioni della filiera, è già molto impegnata in numerosi e concreti progetti volti ad intraprendere un percorso che vada sempre più nella direzione di una crescita sostenibile.

Tra questi, i principali sono: privilegiare partner nella distribuzione che utilizzano tecnologie progettate per determinare una significativa riduzione dei consumi e dell’azione inquinante – con un 90% in meno di NO2, il 95% in meno di PM e, qualora venga impiegato il biometano, il 95% in meno di CO2 rispetto al diesel; la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso il trasferimento di merci dalla strada all’intermodale e alla ferrovia come nel caso dei circa 2500 viaggi all’anno in importazione dal Nord Europa o in esportazione per la Svizzera che comporta un miglioramento di oltre il 20 %; la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso il trasferimento di merci dalla strada al via mare come nel caso dei circa 2000 viaggi all’anno in esportazione verso UK che comporta un miglioramento di oltre il 30 %; la riduzione dell’utilizzo delle plastiche e del cartone nel packaging; l’ottimizzazione dei carichi, dei percorsi e delle spedizioni attraverso l’introduzione di sistemi di TMS (Transport Management System); la riduzione degli sprechi attraverso l’introduzione di sistemi di Forecasting e Demand Planning; la selezione di piattaforme logistiche e flotte di ultima generazione.